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Criminalità e repressione nell'europa moderna, uno dei tanti libri assegnati dal Prof. Genesio

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RatMale
view post Posted on 13/11/2007, 20:04




Come alcuni di voi sanno, ogni anno il professor Genesio da alle sue classi una lista di svariati libri, e ogni studente deve scegliersene uno, farci una relazione e parlarne durante un'interrogazione. L'anno scorso (e quindi quando ero in 3B) io da leggere presi il libro "Criminalità e Repressione nell'europa moderna".
Quella che ho messo qui è la relazione che gli ho consegnato. Avverto tutti che, dato che c'è anche l'interrogazione, uno almeno un minimo il libro deve leggerlo (lo so che è tremenda come cosa), ma la relazione può aiutare a farsi un'idea di quello che tratta, e di sicuro è utile.

Io alla consegna della relazione la sufficenza la presi, quindi, anche se nn si può mai dire e se è meglio per sicurezza che ci ridiate un'occhiata, chi vuole usufruirne.... :shifty:

L'unico modo che ho trovato per metterla nel blog è stato quello di incollarla direttamente qui sotto. Forse col tempo riusciremo (o magari è solo a me che nn riesce) a trovare il modo di poter scaricare direttamente il file in formato word, ma anche così nn è malaccio.

Quindi, ricapitolando, qui sotto c'è la relazione che io feci a mio tempo per il Genesio. Chiunque la vuole può prenderla. Per fare questo bisogna evidenziare tutto il testo, copiarlo e incollarlo su un documento word. Spero che il lavoro vi piaccia.




CRIMINALITà E REPRESSIONE NELL’EUROPA MODERNA
Michael R. Weisser

Il libro inizia con una citazione di Tommaso Moro: “la società crea i ladri e poi li punisce perché rubano” . Questa frase è in pieno collegamento con gli obbiettivi del libro, che cerca di aiutarci a comprendere che le origini della criminalità, ovvero l’azione di svolgere un’attività punibile dalla legge, hanno una stretta relazione proprio con la società stessa. Il libro infatti spazia nel tempo di diversi anni, cominciando dall’inizio dal medioevo per arrivare al ventesimo secolo, tentando di dimostrarci come la criminalità si sia sviluppata di pari passo (spesso di conseguenza) alla società.

Nel medioevo la realtà sociale prevalente era quella dell’isolamento. A parte le grandi città, infatti, la gente viveva in piccoli gruppi di persone, spesso parenti e sicuramente conoscenti tra di loro, formatisi intorno ad un castello o ad una chiesa, o in centri urbani poco sviluppati. Ovviamente il lavoro era organizzato in maniera differente che nelle grandi città, dove erano presenti le corporazioni: spesso era presente, per esempio, un pascolo comune molto considerato in Francia e in Spagnia, e c’erano diritti locali sui terreni comuni erano molto difesi dalle intromissioni esterne.
Nonostante questo, le strutture sociali del primo periodo moderno incidevano sui modelli del crimine in modo molto specifico, in particolare a seconda della composizione sociale della popolazione. Nelle grandi città (vedi Londra, Parigi o Bruges) era infatti presente un grande numero di poveri e di persone le quali non avevano conoscenze specifiche che gli permettevano di fare un lavoro come l’artigiano; a questo consegue che la categoria occupazionale prevalente fosse il settore dei servizi. In questo settore appartengono i lavori apparentemente più inutili (a paragone dei grandi impieghi mercantili) ma che in realtà erano essenziali per mantenere i ritmi della vita urbana nel primo periodo moderno, tanto che si può affermare che il settore più importante di questo primo periodo sia proprio quello dei servizi. La cosa che però a noi più interessa è che, a differenza che nel settore commerciale o artigianale, dove contavano sia i rapporti economici che quelli sociali, in quello dei servizi il fattore economico era più importante a discapito di una quasi totale assenza di quello sociale. Il settore era infatti basato sul concetto di lavoro salariato, attorno al quale si formava un vero e proprio mercato del lavoro, e che aveva come inevitabile conseguenza la disoccupazione, all’interno della quale si formava gran parte del crimine urbano. Però, per capire a fondo la diffusione della criminalità nel medioevo, dobbiamo renderci conto che le maggiori città medievali erano centri di criminalità non soltanto per la presenza di tanti poveri, ma anche per la natura del lavoro a disposizione. Infatti, con il continuo aumento della ricchezza e del potere delle classi elitarie urbane, si aveva anche una maggiore richiesta di poveri per eseguire i lavori basilari (domestici o altri servitori avventizi) che si trovavano nelle giuste condizioni per commettere un crimine ai danni di più ricchi. A questo punto dobbiamo però riflettere su cosa intendiamo per crimine a quei tempi, sia nella campagna che nella città. Il crimine più compiuto era infatti quello del furto, fatto dal quale si capisce che il crimine spesso era un mezzo di sussistenza occasionale e non continuo. Inoltre in città i crimini erano considerati diversamente a seconda delle classi sociali: a parte l’omicidio, infatti, gli unici altri crimini punibili con la morte erano i vari reati sessuali. Nell’ambiente rurale si verificavano anche numerose aggressioni di maggiore o minore gravità, e, dato che il sistema legale dell’epoca consentiva ai ricchi di portare nella pubblica arena ogni piccolo motivo di lagnanza, gli archivi di questo periodo riportano incredibilmente un numero elevatissimo di offese che coinvolgono contadini piccoli e medi. La conclusione è quindi che anche se il profilo della criminalità era piuttosto simile all’inizio del primo periodo moderno, le circostanze e le motivazioni erano molto differenti. Si può però notare che questi due ambienti, anche se stavano cominciando ad assomigliarsi, erano ancora entità sociali distinte.
Adesso dobbiamo però soffermarci sull’esaminare il diritto penale dell’epoca. Innanzi tutto dobbiamo renderci conto che, a causa della molteplicità di giurisdizioni, non esisteva un’effettiva autorità centralizzata. Ogni magnate feudale infatti rivendicava il potere giudiziario nel suo particolare “regno”, e questo rifletteva anche l’incapacità dei monarchi di estendere il proprio potere in maniera definitiva. I re infatti erano costretti, per ottenere il potere in alcuni campi, a fare concessioni in altri, rendendo impossibile lo sviluppo di un potere statale. L’assenza di sistemi legali allargati significava che spesso era compito delle singole regioni occuparsi di controllare il crimine, determinando la nascita di metodi “informali” di controllo del crimine nati a seconda delle esigenze di quella particolare popolazione. Bisogna fare presente, però, che le pene spesso erano dei miti, e non venivano applicate alla lettera, avendo lo scopo di costringere il criminale ad accettare la responsabilità pubblica, dato che, sovente, i tribunali locali erano restii ad emettere una condanna severa contro un membro della comunità a cui essi stessi appartenevano e di cui erano probabilmente conoscenti. E qui dobbiamo definire bene la differenza tra diritto privato e diritto pubblico (che comunque era quasi sconosciuto in questo periodo). Entrambi erano spesso avviati dalla vittima, che diventava il querelante. Nel diritto privato però, era il querelante che doveva portare avanti la causa, intentandola, presentando prove e testimoni, fino a che non riteneva che il danno subito fosse stato riparato; a quel punto ritirava l’accusa. Il diritto pubblico invece affrontava la cosa in un’altra maniera: dopo che la vittima aveva lanciato l’accusa, la causa era affidata ad autorità esterne che la portavano avanti per conto dello stato, facendo diventare il querelante, al pari dell’imputato (la persona accusata), solo un’altra parte in causa. Wesler quindi afferma sia che la struttura sociale influenzava anche il modo in cui veniva controllato il crimine, sia che, nello stesso modo, l’assegnazione della pena svolgeva un ruolo sociale, e permetteva alla società di individuare intorno gli individui molesti. È ovvio quindi che, in una comunità più piccola, è più rischioso commettere un crimine, poiché si è subito riconosciuti dagli abitanti della comunità stessa e si è esclusi oppure tenuti d’occhio.
All’inizio del quattrocento le cose iniziarono però a cambiare a causa un incredibile incremento della popolazione, addirittura superiore al 50%. Le città si ingrandirono a dismisura per ospitare l’enorme nuova popolazione urbana, nacque un’economia basata sul commercio di prodotti di massa e un’economia che sconvolse completamente quella vecchia rurale, che da base di sussistenza divenne un’economia mista. I cambiamenti furono evidenti sia in campagna che in città: nonostante le opinioni divergenti degli storici appare infatti chiaro che la differenza tra contadino povero e contadino ricco aumentò a dismisura, mentre in città l’apparizione di una nuova classe commerciante rappresentava un grave pericolo per la vecchia elite aristocratica. In questo periodo (1500-1700) ci fu un’incredibile aumento dei crimini nell’ambiente rurale, che non deve però essere attribuito solo al fatto che c’era stato un aumento demografico, anche se esso ha certamente fatto la sua parte, quanto ad un generale abbassamento della qualità della vita delle masse rurali. La criminalità però, sempre in relazione con la società, è cambiata. Il crimine particolare più frequente rimane il furto, ma in campagna si passa da furti di oggetti di sussistenza (vestiti, cibo, attrezzi da lavoro) a furti di oggetti di lusso dai quali è ricavabile beneficio solo attraverso una qualche forma di scambio, e anche se i furti riguardavano oggetti di valore limitato e che potevano quindi essere consumati nella cerchia di persone a stretto contatto con il ladro, al crimine rurale si aggiunge un nuovo elemento. Inoltre, sempre a dimostrazione che ad un cambiamento sociale corrisponde anche un cambiamento all’interno della criminalità, adesso non era più strano per molti abitanti recarsi in città con regolarità, ed era anche quindi portare in città beni di contrabbando senza destare alcun sospetto. Adesso si ha anche una passaggio da “fuorilegge” a “bandito”. Non essendoci più tante giurisdizioni circoscritte ma una unica e più grande, a chi commetteva un crimine non bastava cambiare luogo per scampare alla pena, anzi, un “bandito” era semplicemente una persona che aveva commesso un crimine ed era in libertà solo per una momentanea incapacità delle autorità legali di catturarlo. In città si ha invece una sorta di evoluzione del crimine, dal furto alla truffa, che divenne il modo di rubare oggetti di grande valore senza effettuare una vera e propria violazione di domicilio. Conseguentemente a questo si sviluppo in questo periodo una vera e propria malavita, con tanto di covi e quartieri particolari, tanto che in molte grandi città si nacquero i quartieri detti “a luci rosse”, che ospitavano ogni genere di criminale e che venivano tollerati dalla politica pubblica, tanto addirittura da istituzionalizzare le attività sessuali illecite e da rendere il sesso alla pari di tutti gli altri aspetti dell’economia urbana (a Roma durante il 500 c’erano circa 25.000 prostitute su 100.000 abitanti).
In risposta a questa nuova criminalità, si rende necessario un cambiamento nell’ormai inadatto sistema penale medievale, dato che la struttura politicamente frammentaria su cui era basato stava venendo soppiantata della formazione dello Stato. In altre parole, l’azione penale non poteva più essere una faccenda locale, perché il crimine non era più circoscritto. I principali cambiamenti furono la diminuzione dell’importanza dello sceriffo, che era stato l’amministratore della giustizia nel medioevo, le maggiori responsabilità affidate ai giudici di pace e ci fu un passaggio da un sistema giudiziario da accusatorio a inquisitorio. La differenza tra questi due sistemi è simile a quella tra diritto penale privato e pubblico che abbiamo già esaminato: praticamente, il sistema inquisitorio trasformava ogni denuncia in una faccenda pubblica. L’incremento incontrollato dei poveri, poi, rese necessarie alcune leggi che proibissero il loro ingresso nelle città,proibendo la mendicità e rendendo il vagabondaggio, fuorilegge da sempre, un crimine molto grave. Queste leggi rappresentarono una svolta definitiva presa dal sistema penale, poiché da quel momento crimine e criminale sarebbero stati giudicati su base di classe ed in termine di conflitto tra le classi.
Dagli inizi del XVIII secolo, poi, si ha una distinzione del crimine in due tipi: il primo tipo era il crimine tradizionale, associato ad una spartizione di territorio frammentaria, mentre il secondo tipo era un tipo nuovo, dovuto all’urbanizzazione e all’aumento degli spazi urbani. Questo nuovo tipo di criminalità nacque in seguito a fattori già presi in considerazione: l’aumento demografico, l’ingrandimento delle città e la complessità crescente dei rapporti sociali ed economici. I cambiamenti dal primo al secondo tipo erano caratterizzati da elementi tradizionali uniti a elementi nuovi, come possiamo osservare nella forma di furto forse più utilizzata a quei tempi, il brigantaggio, spesso effettuato da lavoratori rurali che si spostavano da una zona all’altra e approfittavano del traffico continuo tra le città, che passa da una sorta di vendetta inoffensiva dei poveri sui ricchi ad un accrescimento del salario personale. Il tipo di crimine comunque più commesso dagli abitanti rurali era il contrabbando. Il contrabbando infatti dava facili guadagni con sforzo minimo, tanto che in Inghilterra, nel 1745, le autorità inglesi calcolavano più di ventimila persone impegnato nel contrabbando dello zucchero, inoltre molti contadini lo consideravano una parte integrante del loro lavoro poiché rappresentava l’unico scampo alla fame tutte le volte che il raccolto andava male. Infine rappresentava una sorta di reazione contro le tasse imposte dal governo sui prodotti base. Anche i città i furti denotavano nuovi modi di organizzazione, in quanto in questo periodo nacque anche la ricettazione, ovvero la necessità di “piazzare” gli oggetti rubati che ancora “scottavano”, ovvero erano ricercati dalle autorità giudiziarie. In questo senso si affermò la figura di revendeuse, una rivenditrice di abiti usati, la cui abitazione fungeva da magazzino per la merce di dubbia origine. Il XVIII secolo fu quindi, per la criminalità, un secolo di adattamento, ma anche di crescita, crescita dovuta soprattutto all’enorme aumento dei commerci e quindi delle merci da rubare, con la nascita di imperi di portata mondiale e della tendenza delle classi medie di comprare numerosi articoli di lusso, tutti potenzialmente rubabili.
Anche il diritto penale però, come la criminalità, si sviluppò; anche se si era passati al sistema giudiziario statale, infatti, l’efficacia del sistema penale lasciava molto a desiderare, e, durante i processi, si faceva ricorso a metodi violenti e che non davano le prove della colpevolezza dell’accusato, come spionaggio, denunce non comprovate, interrogatori segreti e soprattutto si ricorreva ad un uso massiccio della tortura (solo in Inghilterra l’uso della tortura era molto limitato). Di tutte queste cose si rese conto il movimento degli illuministi, che più volte parlo contro il sistema penale e cerco un modo per razionalizzarlo, trovandosi però davanti ad un problema enorme: per razionalizzare il sistema giudiziario si sarebbero dovute abolire le distinzioni di classe (perché, come già detto, i criminali erano giudicati su base di classe), considerate l’unico modo per garantire una società corretta. La soluzione a questo problema viene da un italiano, Cesare Bonesana, marchese di Beccaria. Beccaria sconvolge il sistema legale attuale con le sue teorie, riassumibili in 5 punti: scopo, procedura, pena, responsabilità e prevenzione.
SCOPO: Lo scopo della legge, secondo Beccaria, non era quello di proibire certi comportamenti, quanto quello di regolamentare certe attività necessarie. La cosa fu rivoluzionaria per l’epoca, in quanto fino ad allora si era pensato solo ad un modo di coprire con le leggi ogni situazione immaginabile.
PROCEDURA: Beccaria insisteva sul fatto che l’accusato doveva essere considerato innocente fino a che non se ne provava la colpevolezza. Poi le leggi dovevano essere consultabili da tutti i cittadini, affinché potessero giudicare l’efficienza degli amministratori.
PENA: Secondo il marchese la pena doveva servire per punire, quindi lui si mostrò d’accordo con tutte le pene post-feudali, tranne con la pena capitale, e affermò che la forma più opportuna di punizione fosse l’incarcerazione, dato che si poteva adattare al tipo di condanna allungando o accorciando la permanenza, inoltre era l’unica via di mezzo per uniformare chi aveva i soldi e chi non li aveva. Inoltre, dato che la pena doveva essere certa e distribuita prontamente, l’incarcerazione era la punizione ottimale.
RESPONSABILITà: Beccaria affermava che non ci dovevano essere distinzioni sui criminali, ovverosia che se uno aveva commesso un crimine, chiunque esso fosse doveva pagare allo stesso modo degli altri, senza che venisse tenuto conto di elementi personali o ambientali.
PREVENZIONE: Beccaria esprimeva la sua più completa fiducia che il moderno sistema bastasse come deterrente per il crimine, considerando con scetticismo la polizia.
Queste vedute innegabilmente moderne di Beccaria furono appoggiate da tutti gli illuministi, e rispecchiavano il corso degli eventi di allora: la tortura veniva abolita in molti stati e la legge si iniziava a basare sulla prova (anche se in Inghilterra la pena di morte venne associata ad un numero incredibile di reati, specialmente i furti).
Successivamente, nel XIX secolo, si ha un ulteriore aumento di residenti nelle città che ebbe come conseguenza principale il distacco tra due classi di poveri, i cosiddetti poveri che lavorano e i Lumpen, ovvero coloro che il sistema aveva reso completamente inutili. I Lumpen erano infatti persone che venivano occasionalmente usate dai più ricchi per i lavori più disdicevoli e che non avevano nulla da perdere, quindi erano quelli chi maggiormente commettevano furti, sempre però verso le classi sociali basse, e mai verso quelle alte. Adesso è quindi presente in Europa una categoria di persone che rubano o compiono atti criminosi per “lavoro”, con tutta una gerarchia rispettata e varie classi e sottoclassi. Subito, quindi, il sistema penale si premurò di distinguere coloro che rubavano di professione da coloro che rubavano occasionalmente. Questi ultimi infatti venivano considerate persone oneste sviate dalle circostanze, e le pene assegnategli erano minori rispetto alle altre. I criminali di professione avevano due caratteristiche che li distinguevano dagli altri: la prima era l’uso di travestimenti, chiaro indice di una premeditazione e progettazione del furto, la seconda era la presenza più o meno frequente di complici.
Arrivati a fine XIX secolo, la società moderna doveva affrontare due tipi di violenza mai visti prima: la violenza associata al crimine, perpetrata per la prima volta da una classe criminale professionale, e la violenza politica, scatenata da una massa organizzata intorno ad obbiettivi politici a lungo termine. In risposta a queste emergenze ci fu uno sviluppo del sistema di polizia. Si scoprì infatti che la polizia era la soluzione ideale per difendere la sicurezza nei periodi di disordini di massa, dato che questa teneva presente gli scopi e i motivi di queste masse, e teneva lontani gli agitatori. Inoltre ci fu un massiccio utilizzo di spie e di informatori che tenevano le forze dell’ordine al corrente di tutti i piani criminosi e rivelavano in tempo se c’era qualche problema. Comunque, nonostante l’aumento dei poliziotti nelle grandi città, ci volle molto tempo prima che si sviluppasse un vero e proprio moderno corpo di polizia, la cui comparsa avvenne in concomitanza dello sviluppo del sistema penitenziario e della pena moderna. Il sistema carcerario, dopo aver subito una riforma che lo rese più adatto a contenere tanta gente, univa i tre aspetti fondamentali della pena moderna: brutalità, anonimato e lavoro. Anche la pena cambiò, e divenne un mezzo per impartire una lezione a coloro che attaccavano i loro superiori sociali. Il crimine era adesso considerato un attacco all’ordine sociale, e di conseguenza il criminale doveva risarcire la società che aveva danneggiato, risarcirla lavorando. Il carcere divenne quindi un’unione di questi elementi, unione possibile solo in un’età industriale. Ogni detenuto doveva subire lo stesso trattamento, quindi ogni detenuto doveva essere vestito uguale, in celle tutte uguali, mangiare le solite cose nei soliti luoghi e nei soliti orari. La prigione, che come è stato detto prima era stata ridotta ai suoi elementi essenziali, divenne molto simile ad una fabbrica, e il criminale era simile all’operaio. Entrambi i sistemi imponevano la disciplina e allargavano il divario tra le classi sociali.
“I sistemi del lavoro e della pena avevano assunto la loro forma moderna.”
 
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diabaino
view post Posted on 16/12/2007, 20:41




ti prego non mi dire che il genesio è così tremendo,,il prossimo anno l'avrò,,cmq le sue giacche e i suoi completi mi ispirano fiducia,,mi sembra un uomo così stravagante,,
 
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ti_frugo_nel_frigo
view post Posted on 17/12/2007, 17:32




w genesio! che quando s'ha fame ci offre a tutti un pezzo di pane... il pane BACIATO
 
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2 replies since 13/11/2007, 20:04   260 views
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